Emily e Sara erano due sorelle davvero inseparabili. Impossibile vederle giocare l’una senza l’altra…
Ma un brutto giorno le cose cambiarono, al punto che Sara preferiva starsene da sola piuttosto
che finire di costruire la casetta sull’albero progettata con tanta cura: dettaglio dopo dettaglio, disegno dopo
disegno, chiodo dopo chiodo…
Eppure Emily ci aveva provato, a farle tornare il buon umore e la voglia di giocare insieme.
Le aveva dato il permesso di giocare con le sue bambole,di prendere i suoi colori. Le avrebbe prestato persino il suo coniglietto preferito, se solo Sara glielo avesse chiesto.Ma nulla sembrava funzionare…
Emily era davvero scoraggiata mentre guardava la casetta da finire: non ce l’avrebbe mai fatta da sola!
“Sembri triste, Sara. Perché?”“Perché sei strana, sai…”, spiegò Sara, continuando a colorare
“Strana?”, chiese Emily guardandosi allo specchio per vedere se per caso le fossero spuntate fuori delle orecchie a punta o se all’improvviso fosse diventata verde.
“L’altra sera ti ho visto tremare ...”“Ahhhhhh! ”, esclamò Emily, contenta di non avere nulla di così strambo. “Mi hai visto tremare mentre dormivo?”“È stato strano vederti così, non riuscivi neanche a parlare!”
“Ma non è una cosa pericolosa”, si affrettò a precisare Emily, raggomitolando il filo che la mamma
le aveva dato per fissare il telo con cui fare il tetto.
“Non devi aver paura. Vedi, nella testa ci sono tanti fili e ognuno serve per fare qualcosa: giocare, parlare,
dormire, pensare.Poi, ogni tanto può capitare - o almeno è così che succede a me - che uno di questi fili inizi a tremare, come se fosse stato toccato da un fulmine, da una scossa elettrica.”
“Davvero? I fulmini? E piove anche nella tua testa?”“No. Non piove, ci sono solo i fulmini!” “E fa male?”
“No, non sento niente.”A te sembra che faccia male perché devo avere un aspetto poco rassicurante. Ma io non sento proprio nulla. Solo, a volte, quando mi passa mi sento un po’ stanca e confusa e quindi mi devo riposare, ma se invece mi sento bene posso tornare subito a giocare.”“Sicura?”, chiese Sara, prendendo il
disegno della casa sull’albero che avevano fatto insieme qualche giorno prima.“Sì, sicura. Sai una cosa? Le prime volte anch’io ho avuto un po’ paura, proprio come te.” “Davvero?” “Sì. Poi, con mamma e papà, sono andata dal dottore. ”“Il fulminologo?” “… una specie, ma si chiama neurologo.”E cosa ha fatto il dottore? Ti ha tolto i fili tremanti?” “No. Però mi ha messo una cosa buffa in testa: l’elettromedusetta. Una specie di cappello con delle ventose che può leggere il nome dei fulmini e dire al dottore cosa succede.”
“E come si chiamano questi fulmini?” “Veramente hanno un nome un po’ difficile: crisi epilettiche. Ma a me
questo nome non piace molto. Ne vogliamo trovare uno nuovo insieme?”“ Ciricoccole?Traballine ? ho trovato!Sbiruline!
“Mi piace! Allora, quando ho una sbirulina non devi aver paura, ma puoi aiutarmi, sai.” “Io? In che modo?”
“Vedi, i fulmini - così mi ha detto il dottore - possono arrivare in qualsiasi momento. Quindi se non sono a letto e vedi che tremo devi subito mettermi una cosa morbida sotto la testa.”“Un cuscino?” “Sì, un cuscino, un maglione. Una cosa morbida.”“Poi devi chiamare mamma, papà o comunque una persona grande.”
“Se mamma e papà non ci sono, va bene anche Gina?”“Sì, la vicina va bene, ma quando esci non chiudere la porta altrimenti non puoi più entrare e io rimango sola con la mia sbirulina!”“E poi…”, continuò Emily, raccogliendo dal cesto gli ultimi attrezzi per realizzare la casa sull’albero, compreso il grosso gomitolo. “… c’è una cosa molto importante: non devi mai mettermi niente nella bocca né toccarla. Se vuoi però mi puoi
accarezzare, così sentirò che ci sei anche tu.”“E poi?” “E poi basta: veloce come un fulmine mi passa!
Riempito il cesto e giunte ai piedi dell’albero, le bambine guardarono la loro casetta: era proprio bella,
mancava solo il tetto. Ma la giornata era ancora lunga e c’era tutto il tempo per finirla.“Dai, passami quel telo che facciamo il tetto”, disse Emily. “Però salgo io sull’albero, ché tu sei troppo piccola, lo sai, e poi se cadi e ti fai male chi mi aiuta con le sbiruline? ”“Uffa. Però poi quando siamo su insieme l’aquilone lo tengo io!”
"Spero che questo racconto possa aiutare tanti genitori ad affrontare in maniera semplice l’epilessia, o almeno alcuni suoi aspetti, e tanti bambini a capire le sbiruline prendendone le “dovute distanze”, che non vuol dire far finta che non ci siano, ma vivere con serenità tutti i momenti in cui le crisi epilettiche non ci sono e non spaventarsi quando avvengono.
Spero che il libro possa anche essere usato come strumento didattico-educativo con bambini che non soffrono direttamente di epilessia, ma che hanno incontrato la malattia perché parenti (fratelli, sorelle, cugini o figli) o amici di persone affette da questo disturbo e che potrebbero per questo essere spettatori di una crisi che li coglierebbe alla sprovvista come capita a chi ne soffre. Rachele Giacalone
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