In un Paese normale la giustizia non è il terreno dello scontro, ma il luogo dell’unità. Penso semplicemente alla mia generazione. Diventiamo adulti, all’improvviso, quando sull’autostrada che collega Palermo al suo aeroporto il tritolo spezza la vita di Giovanni Falcone, di sua moglie francesca, dei ragazzi della loro scorta. Viviamo quei mesi con il groppo in gola: riusciranno le istituzioni a vincere la sfida lanciata dalla mafia? Sono giorni, settimane, mesi in cui si combatte una guerra che si può annusare ma non vedere. Ci siamo sentiti accompagnati dal sorriso di Paolo Borsellino: lo ricordo nel mese di giugno 1992 partecipare a una fiaccolata in memoria di Falcone. E ricordo il senso di spaesamento terribile quando arriva la notizia della strage di via D’Amelio. il giudice ucciso, i ragazzi della scorta che saltano in aria con lui, le giovani vedove, i piccoli orfani. Ricordo, fiorentino appena diciottenne, all’ultimo anno di liceo, la strage di via dei Georgofili: la mafia che colpisce firenze, che uccide tra l’altro le sorelle Nencioni, otto anni in due.
E ricordo i martiri per la giustizia che anche successivamente pagano con il sangue il loro coraggio e il loro attaccamento alla verità. non solo magistrati, intendiamoci. Donne e uomini, agenti e sacerdoti, imprenditori e lavoratori. Vivo quei mesi con una sensibilità particolare su questi temi, legata alla formazione scout. E caposcout era quel don Peppe Diana che dalla sua Casal di Principe quasi grida: «Per amore del mio popolo, non tacerò». Penso alla strana emozione che mi prende quando finalmente papa francesco decide di beatificare padre Puglisi, ammazzato nel suo quartiere Brancaccio a Palermo.
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Mi tornano alla mente le decine di migliaia di lettere e email che ho ricevuto. Da Stefano, sessantenne che alle prece- denti politiche per la prima volta aveva votato scheda bianca «uscendo dal seggio con gli occhi lucidi perché ho provato vergogna a pensare a mio padre» e che «adesso invece torno a sperare», fino ad Alberto, ventinovenne, laureato in biotecnologia con il massimo dei voti e la lode, dottore di ricerca con il punteggio massimo e rimasto con un niente in mano, che non ha i soldi e forse neanche più la speranza per costruire un futuro insieme alla sua ragazza. Da Francesca, che è una diciottenne entusiasta del fatto che il suo primo voto sia per le primarie «per una battaglia folle, ma proprio perché folle bellissima», a Marco, che usa la campagna delle primarie per discutere con il nonno, bersaniano convinto: «Mio nonno mi ha insegnato a non aver paura, mio nonno mi ha insegnato a stare dalla parte dei più deboli, mio nonno mi ha insegnato che bisogna studiare perché la scuola è importante, mi ha insegnato il valore del lavoro, mi ha insegnato che bisogna dare tempo alla famiglia, ma mi ha insegnato anche che cresciamo in una comunità e a questa dobbiamo portare il nostro contributo, mio nonno mi ha insegnato a fare la zuppa col pane e il vino, a guidare il trattore, a bluffare a carte. con mio nonno ho let- to il tuo programma e abbiamo discusso».
Estratto dal primo capitolo del libro Oltre la rottamazione di Matteo Renzi (fonte)
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