Il Confine è una linea, a volte invisibile, ma descrive in modo inequivocabile una separazione, non è possibile stare sul confine, o si è di qua, o si è di la, guardando un confine o guardo fuori, o guardo dentro. Nella mia breve esperienza di ANFFAS ho dovuto guardare dentro, io “apparentemente” normodotato mi sono occupato di persone con disabilità, e credo di non aver nulla da aggiungere a quanto, emeriti sapientoni, abbiano già detto e scritto in merito.
Vi è però qualcosa sulla disabilità di cui si parla poco. Si tratta delle famiglie ed in particolare delle mamme. Nel suo bellissimo libro “Nati due volte” Giuseppe Pontiggia racconta senza pietismo e senza banalizzare, la storia di suo figlio, nato disabile. In questo libro che tutti dovrebbero leggere si coglie l'inadeguatezza, l'imbarazzo e l'approssimazione dei medici, degli specialisti, del personale della scuola, della società in genere ... nell'avvicinare la famiglia il cui figlio e affetto da una disabilità grave, lasciandola sola nella lotta, fatta di coraggio, amore e accettazione. In particolare le problematiche delle persone con deficit neurologici, relazionali, psichici, sono molteplici ed investono la sfera psicologica, sociale e relazionale di tutta la famiglia.
Dice l'organizzazione mondiale della sanità che l'handicap è una condizione di salute in ambiente sfavorevole, come dire che modificando l'ambiente è possibile ridurre e superare l'handicap. Ma l'handicap è una condizione sociale che investe l'intero nucleo familiare. E qui bisogna guardare dentro ai confini, confini che non investono più, o solo, la persona con disabilità, confini che investono la famiglia nelle sue dinamiche relazionali e sociali, nei contesti di vita di ogni membro. La famiglia, infatti, si trova di fronte ad una situazione problematica, e su di essa si riversa un carico assistenziale notevole, spesso eccessivo ed improprio, che di fatto stravolge la quotidianità e sovente determina la fine delle relazioni sociali.
Il carico maggiore si riversa sulle mamme per due ordini di problemi contingenti, il primo è prettamente sociale, il carico familiare più elevato ricade sulle spalle delle donne, nonostante i notevoli mutamenti culturali. Il secondo è invece di ordine psicologico e forse biologico, la maternità, in particolare quella che riguarda il figlio disabile carica sulle spalle della mamma una responsabilità maggiore, essa si sente soffocata dal senso di colpa, si sente responsabile del deficit del figlio, e non trova nessuno che possa darle una risposta per lei accettabile. Ella assume il peso emotivo e anche quello assistenziale in modo sovente totalitario con il conseguente annullamento del suo ruolo di moglie, di madre di altri figli, di lavoratrice, di donna ... Nella famiglia inizia la fase caratterizzata dagli atteggiamenti iperprotettivi, che rinforzano la dipendenza della persona con disabilità dalla sua famiglia e che porta lentamente ad un isolamento della famiglia dagli altri. La telefonata di una amica ti irrita, perché ti appare banale ciò di cui parla. Così lentamente ed inesorabilmente, ti chiudi nel tuo mondo, scivoli verso la pericolosa china della solitudine estrema. Il deficit neurologico è più difficilmente accettabile, e si elabora più lentamente rispetto alla menomazione fisica e sensoriale, perché non si vede, non appare, e il figlio non è quasi mai autonomo e ha poche speranze per esserlo. Vi sono poi alcune patologie che sono distruttive, una in particolare, l'Autismo, genera delle lacerazioni familiari continue e progressive. Una mamma di una persona con autismo subisce delle pressioni psicofisiche e distruttive della psiche.
La famiglia vive ogni tappa della vita di questo figlio “diverso” in modo drammatico, difficile, lacerante. La prima reazione è la negazione, non vogliamo credere che il nostro figlio abbia dei problemi, corriamo da una clinica ad un'altra cercando chi ci rassicuri, chi ci dica qualcosa di incoraggiante, chi ci dica che non è vero... sovente si cercano i colpevoli, il medico, l'altro coniuge, il destino crudele, i peccati di gioventù ... Dio ... poi si cerca chi può risolvere il problema, si incomincia dall'ospedale sotto casa, poi la clinica specializzata, gli specialisti e poi via, con gli altri problemi e le altre battaglie, la scuola materna, la scuola elementare, si cambia l'insegnate di appoggio se va bene ogni anno, lotte, litigi, arrabbiature, stress ... poi compie 18 anni, la dove gli altri finiscono di avere problemi (forse ?) noi si incomincia ... di nuovo !?!
Il centro diurno è una liberazione, alcune ore nella giornata in cui riesci a vivere la tua vita, ma finisci per stare a casa, non si sa mai, se succede qualcosa devi essere pronta a partire. E quante lacerazioni quando, raggiunta una certa età, ci si rende conto che non puoi più accudire a quel figlio, e allora accetti a malincuore che cambi casa e vada a vivere in comunità, così sarà accudito da persone competenti, in una bella casa o in una bella struttura con tante camere e un numero incalcolabile di bagni... ma sarà amato ? E dopo di noi ?...
In ANFFAS oltre 50 anni ci interroghiamo sul ruolo, sulla responsabilità, sui limiti delle famiglie. Da oltre 50 anni chiediamo alle istituzioni delle politiche di sostegno alle responsabilità familiari, abbiamo coniato uno slogan, “per una persona con disabilità una famiglia sola non basta “, posso aggiungere che “una mamma sola non basta”.
La famiglia è l'ambito privilegiato in cui la persona con disabilità può sviluppare il proprio progetto di vita, per realizzare il quale occorrerà tuttavia una rete di servizi e di strumenti messi a disposizione delle Istituzioni pubbliche. Dire che la famiglia è centrale nel nuovo Welfare, non vuol dire lasciarla sola, magari con qualche soldino in più e qualche imposta in meno, a farsi carico di tutte le esigenze della persona con disabilità. Al contrario vuol dire che le Istituzioni, alle quali spetta la responsabilità della presa in carico delle persone con disabilità, devono organizzare i necessari servizi in modo da accogliere in primo luogo le esigenze delle famiglie stesse.
A ciascuno il suo ruolo: la famiglia continui ad essere il punto di riferimento sociale e di relazione diretta della persona con disabilità, e le Istituzioni della repubblica non si sottraggano al ruolo, sancito dalla Costituzione, di creare condizioni di inclusione sociale e di pari opportunità per tutti i cittadini.
(Ivo Manavella)
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