
da un educatore...
E' giunto purtroppo il momento di dire, molto sinceramente, che il servizio sociale ha perso ormai il suo vero significato operativo e la forza, che dovrebbe avere sul territorio, attraverso il proprio concreto agire socio-educativo. Cosa intendo dire con ciò? E' molto semplice! Intendo dire che le persone che hanno bisogno di un aiuto o di un sostegno come, per esempio, gli anziani (spesso soli o abbandonati) o le persone in situazione di handicap (che hanno sempre meno spazi o possibilità per socializzare o integrarsi) non sono più considerate come dei soggetti che hanno dei diritti da potenziare e sviluppare o una dignità sociale da difendere, ma sono diventati dei semplici oggetti a cui erogare una specifica “prestazione” o un sostegno di base tra quelli possibilmente misurabili, cioè di tipo accessorio o economico. Questa tipologia di aiuti, come per esempio il pasto a domicilio; la pulizia personale; la pulizia della casa; il lavaggio della biancheria; la cura al callo dell'alluce del piede; il bagno assistito, l'imboccaggio ai pasti; il pagamento dell'affitto; l'assegno di cura; ecc. ecc., sono attualmente offerti dal servizio pubblico in modo razionale, con dei tempi d'uso ben precisi, senza una vera progettualità calata sulla persona che dovrebbe invece sostenere tutti quei bisogni, spesso molto complessi, che si nascondono dietro i vissuti delle persone. Sono infatti proprio i vissuti delle persone che dovrebbero essere ascoltati, interpretati e analizzati per poter formulare e mettere in atto un vero e proprio intervento sociale. Non è quindi etico e morale, per un professionista del sociale, riconoscere nelle persone solo quei bisogni che hanno una valenza oggettivabile o misurabile. Non si possono adattare i bisogni delle persone alle sole cose che i servizi sociali, in questo momento, vogliono poter offrire. Non si può dire di offrire un vero intervento sociale se si offre esclusivamente pura e semplice assistenza …........e nessuna risposta di tipo socio-educativa.
Così si rischia sempre di più di non fare vera azione sociale che, ricordo, è fatta di prevenzione al disagio o al malessere delle persone o, ancora, nel riuscire a promuovere agio e benessere sociale all'intera collettività.
Tutto questo modo prettamente assistenziale di fare azione sociale viene concepito ed offerto sempre di più, e con una prospettiva ormai preponderante, anche con la partecipazione e l'impegno del privato sociale. Si adempie così al processo di trasformare il lavoro sociale pubblico, che dovrebbe essere intriso di creatività, relazione, partecipazione, idee, azioni, umanità, comprensione, sussidiarietà, territorialità (Welfare Mix)........e tante altre cose......in una semplice azione di businness, esercitata da pochi, sulle spalle dei più sfortunati.
La persona-utente rischia così di non avere più un nome e un cognome, un vissuto, una storia da raccontare, una realtà sociale intorno a sé da migliorare o che deve essere aiutata e sostenuta. Rischia di diventare semplicemente un oggetto riconoscibile per le prestazioni avute, per la fattura emessa a suo nome, per la copertura economica che è stata sostenuta nei suoi confronti......e basta! Chi gestisce ed amministra i servizi sociali, in questo preciso momento, non ha assolutamente idea di che cosa voglia dire “bisogno e intervento sociale”, “socialità e partecipazione”, “umanità e ascolto”, “sistema complesso dell'utente e le sue relazioni”, “piani d'intervento e prevenzione”.
Le persone in situazione di disagio hanno bisogno di essere innanzitutto ascoltate, rimesse in gioco, sostenute dal punto di vista psicologico. Hanno bisogno di qualcuno che non le sostenga solo attraverso l'erogazione di prestazioni o attività “materiali”, ma di qualcuno che sappia ascoltare e rimettere in gioco, capire e comprendere, consigliare e indirizzare, curare e sostenere, supportare e aiutare, spronare e motivare, amare e sorridere, rinforzare e rincuorare. E per tutto il tempo necessario a realizzare e costruire tutte queste cose.
Ecco cosa devono poter fare i professionisti del sociale. Assistenti sociali ed educatori, assistenti geriatrici e operatori socio-sanitari, maestre d'asilo e educatori all'infanzia. Offrire sostegno psicologico, disponibilità, vicinanza, pazienza, comprensione, affettività, passione, umanità e soprattutto tanta professionalità.
Quindi non solo offrire prodotti presi da un “catalogo delle prestazioni”, come se fossero tanti venditori ambulanti del Postal Market.
Non so se tutto ciò è chiaro.
Le persone in stato di bisogno non sono fatte di legno. Sono fatte di ricordi, di pensieri, di sensazioni, di storia, di vissuti, di percezioni che devono essere potenziate e messe in condizione di rigenerare fiducia e nuove capacità di auto-aiutarsi. Queste sono persone ancora in grado di vivere emozioni, di raccontarsi, di essere rimesse in moto per tirare fuori potenzialità e desideri nascosti.
L'agire sociale deve mettere le persone in stato di bisogno nelle condizioni di passare da oggetti che ricevono servizi, a soggetti in grado di rendersi nuovamente attivi a capaci di decidere della propria vita.
Solo così si ridà dignità alle persone in difficoltà. Solo così si fa vero intervento sociale. Il resto sono tutte chiacchiere, che fanno comodo ai politici che non sanno nulla di sociale e ai cosiddetti “manager” del sociale che lavorano senza avere nessuna visone di dove andare e cosa fare........domani.
Giorgio Ballarin
Bolzano
Nessun commento:
Posta un commento