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20/05/12

Isee e la disabilità

riporto un interessante articolo scritto da Raffaello Belli
sul sito http://www.avitoscana.org/?q=node/57

Poiché il Governo e le Regioni stanno insistendo sul fatto di applicare l'Isee per le prestazioni assistenziali ai disabili, può essere utile chiarire alcune questioni.In primo luogo va ricordato che il co. 1 dell'art. 1 del Decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 109  ribadisce che l'Isee non si applica all'indennità di accompagnamento. In proposito può essere utile ricordare che durante i lavori parlamentari di quella che poi è diventata la legge n. 18 del 1980 sull'indennità d'accompagnamento, l'onorevole D'Amelio sostenne che l'indennità d'accompagnamento deve essere concessa “indipendentemente dall'eventuale reddito di cui godano gli invalidi, poiché l'inabilità è già di per sé una penalizzazione”. Il punto non ha alcun valore giuridico vincolante per il legislatore in tema di Isee. Però vale sicuramente come precedente. Nel senso che nel Parlamento, a suo tempo, ci fu concordia sul fatto che la disabilità è uno svantaggio tale da compensare qualsiasi valutazione in tema di Isee.Va poi menzionato che, quando si parla di Isee, di solito lo si applica ai disabili che hanno un reddito superiore al minimo vitale o, qualche volta, al doppio di tale minimo vitale. In proposito ci sono due questioni da rilevare.La prima riguarda il fatto che, ammesso e non concesso che le persone normodotate possano sopravvivere con il cd. “minimo vitale”, questo non è assolutamente possibile per chi ha una grave disabilità. I costi di questa sono infatti enormi, e fanno sicuramente una differenza molto significativa rispetto al minimo vitale. Non tenere conto di questo fatto significa o non conoscere per niente la materia o non essere in buona fede.Inoltre l'applicazione dell'Isee in relazione al minimo vitale crea una discriminazione fra disabili e normodotati, e quindi viola l'art. 3 della Costituzione, oltre a contrastare con la legge n. 67 del 2006. Il fatto è che una persona normodotata con un reddito mensile diciamo così “normale” a fine 2007, e cioè intorno a € 1.000, si trova a poter spendere tutta questa somma per le proprie normali esigenze di vita. Viceversa, applicando il discorso del minimo vitale e dell'Isee, una persona  disabile, che lavora e che ha lo stesso reddito mensile ipotetico di € 1.000 del compagno di lavoro, si trova a dover spendere una parte significativa di tutto ciò per le spese connesse con la disabilità.In altre parole, la persona disabile svolgerebbe lo stesso lavoro del collega normodotato e percepirebbe la stessa retribuzione, però nella realtà si troverebbe a disposizione, per le proprie normali esigenze di vita, una somma nettamente inferiore. La questione sarebbe costituzionalmente legittima nel caso, quasi sempre ipotetico, di un reddito mensile di parecchie migliaia di euro, nel qual caso le spese per la disabilità non inciderebbero in maniera significativa sulle esigenze normali di vita. Ma, negli usuali casi di un reddito normalissimo, l'applicazione del minimo vitale e dell'Isee ai disabili viola chiaramente l'art. 3 della Costituzione, e contrasta con la legge n. 67 del 2006, perché li costringe ad usufruire di un reddito effettivo nettamente inferiore a quello di una persona normodotata, che svolge lo stesso lavoro.C'è poi un'altra questione davvero decisiva.Sotto alcuni profili costituzionali si può dire che potrebbe essere legittimo applicare l'Isee ai disabili.Infatti il principio di eguaglianza garantito dal co. 1 dell'art. 3 della Costituzione, impone di regolamentare in maniera ragionevolmente diversa situazioni oggettivamente diverse. E non c'è dubbio che la situazione di un ipotetico disabile che dovesse avere un reddito mensile di € 20.000, sarebbe sicuramente diversa da quello di un'altra persona, con la stessa disabilità, costretta a sopravvivere con la miseria della pensione d'invalidità. Inoltre l'Isee sulla disabilità potrebbe essere legittimo perché l'art. 38 della Costituzione prevede l'assistenza sociale soltanto per chi è in stato di bisogno.Oltre al fatto che è ampiamente discutibile ciò che si può intendere per “stato di bisogno” (e sicuramente, in tema di disabilità, non si può ricondurlo al “minimo vitale”), il punto chiave è che la normativa nazionale in tema di Isee e disabilità cozza con il principio di ragionevolezza imposto dal co. 1 dell'art. 3 della Costituzione.Detta normativa prevede un quoziente maggiore per il calcolo dell'Isee nel caso di presenza di una persona con handicap, dunque, sotto questo profilo, è rispettato il precetto costituzionale di regolamentare in maniera diversa situazioni oggettivamente differenti.Il punto è che il precetto costituzionale sull'uguaglianza non è interamente soddisfatto se ci si limita a regolamentare in maniera differente situazioni oggettivamente diverse. Cioè a dire che la Costituzione impone il fatto che la diversità di trattamento (di situazioni differenti) deve essere ragionevole. Si tratta di una questione così importante che questo della ragionevolezza è uno dei parametri maggiormente utilizzati dalla Corte costituzionale nelle proprie decisioni.L'importanza di questo parametro si può capire meglio con questo esempio. L'astensione retribuita dal lavoro per i dipendenti per gravidanza e parto, chiaramente, spetta alle donne e non agli uomini. Ma questo non basta per soddisfare il principio di eguaglianza. Se detto permesso retribuito fosse di un solo giorno (quello del parto) oppure durasse 10 anni, sarebbe illegittimo in ambedue i casi, perché, appunto, irragionevole.E' chiaro che è molto discutibile stabilire la linea di confine precisa tra ciò che è ragionevole e ciò che non lo è. Tant'è vero che è stato scritto che, quando viene utilizzato il parametro della ragionevolezza, il giudizio di legittimità della Corte costituzionale si avvicina di più a quello di merito. Ed ecco perché la Corte, molto spesso dice ciò che non è ragionevole, aggiungendo che spetta al legislatore stabilire con precisione dove porre la linea di confine.Ciononostante, pur non potendo sempre stabilire con precisione ciò che è ragionevole sotto il profilo della legittimità, ci sono dei casi in cui la non ragionevolezza della diversità del trattamento è macroscopica. A parere di chi scrive, uno di questi casi è l'applicazione dell'Isee alle prestazioni assistenziali destinate ai disabili.Infatti i decreti legislativi in materia prevedono un quoziente maggiore in presenza di una persona disabile, attribuendo 0,8 punti in più. Il fatto è che questo quoziente è stabilito in maniera tale per cui il maggior costo derivante dalla disabilità viene equiparato alla presenza in famiglia di 1.6 figli in più. Viceversa, chi conosce, anche in maniera non troppo approfondita l'argomento disabilità, capisce benissimo che i maggiori costi ad essa legati sono molto, ma molto maggiori. Ad esempio, si può ragionevolmente sostenere che, per adempiere al precetto costituzionale di garantire a tutti la concreta possibilità di esercitare le libertà inviolabili e di non limitarsi alla mera sopravvivenza fisica, in presenza di un handicap grave i maggiori costi, anche soltanto per le prestazioni di assistenza personale, possono essere equivalenti a quelli che si devono sostenere quando ci sono da mantenere 10 figli. Viceversa l'attuale normativa per l'Isee ai disabili fissa detto maggiore costo in 1,6 figli.Dunque, anche sotto questo profilo, va sostenuto che detta normativa è costituzionalmente illegittima.Seguendo questo ragionamento risulterebbe sostenibile che, portando il quoziente per la disabilità maggiorato, ad esempio, a 5 punti, allora l'Isee sui disabili diventerebbe costituzionalmente legittimo. Sotto questo profilo la conclusione potrebbe essere corretta. Sennonché, utilizzando un quoziente pari a 5, l'Isee diventerebbe applicabile a pochissimi disabili, forse a 1 su 100.000. E sarebbe irragionevolmente costoso, e quindi in contrasto anche con il principio costituzionale (art. 97) di buon andamento ed efficienza della pubblica amministrazione, sottoporre centinaia di migliaia di cittadini disabili al controllo dell'Isee, per poi poterlo applicare soltanto a qualcuno di loro.


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