Le persone disabili dovrebbero autoconsiderarsi innanzitutto come cittadini del mondo, liberi dai confini e ripensando ai diritti umani laddove vengano messi in discussione. Allo stesso tempo dovrebbero sentirsi cittadini di uno Stato nazionale che deve garantirgli questi diritti per dovere e non per concessione di altri soggetti.
E in ultimo le persone disabili dovrebbero sentirsi anche come membri della comunità ma non come “gabbia” dei diritti, ma come luogo dove sviluppare la propria personalità attraverso l’inclusione e il confronto con le persone insieme a cui si vive. In una parola: partecipazione ove possibile.
Forse se per primi si ragiona liberi da confini, ci si ricordasse che esistono diritti intoccabili e che facendoli valere si può essere cittadini del mondo, non assisteremmo a certe esternazioni e davvero inizierebbe una nuova cultura. Solamente con la cultura vera si può impedire un pericoloso regresso come quello proposto, di un Welfare solidale che col bene comune e con la cultura del diritto non sembrerebbe avere niente a che vedere.
Eleonora Campus
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