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21/02/16

Nuvole di Fernando Pessoa



Nuvole… Oggi ho coscienza del cielo; è da giorni, infatti, che non lo guardo ma sento, vivendo nella città e non nella natura che la include.
Nuvole… Oggi esse sono la principale realtà e mi preoccupano come se il cielo che si copre fosse uno dei grandi pericoli del mio destino.
Nuvole … Passano dal porto verso il Castello, da occidente a oriente, in un tumulto disperso e spoglio, a volte bianco, se si muovono sfilacciate davanti a non so cosa; a volte quasi scuro se, più lente, tardano ad essere spazzate dal vento che si può udire; nere, di un bianco sporco, come se volessero restare, scuriscono lo spazio falso aperto dalle strade fra le linee chiuse del caseggiato, più per il loro arrivo che per l’ombra.
Nuvole… Esisto senza saperlo e morirò senza volerlo. Sono l’intervallo fra ciò che sono e ciò che non sono, fra il sogno e quello che la vita ha fatto di me, la media astratta e carnale fra le cose che non sono niente, mentre anche io non sono niente.
Nuvole… Che inquietudine se sento, che sconforto se penso, che inutilità, se desidero!
Nuvole… Passano sempre. Alcune, che sembrano molto grandi, perché le case non fanno vedere se siano meno grandi di quanto sembra, occuperanno tutto il cielo; altre, di grandezza incerta, potendo essere due unite o una che si divide in due, senza verso, in alto contro un cielo stanco; altre ancora, piccole, che sembrano giocattoli di grande effetto, palle irregolari di un gioco assurdo, solo da una parte, in un grande isolamento, fredde.
Nuvole… Mi interrogo e non mi riconosco. Non ho fato niente di utile né farò qualcosa di giustificabile. Ho sprecato la parte di vita che non ho perduto, a interpretare confusamente qualcosa, facendo versi in prosa alle sensazioni intrasmissibili con cui rendo mio l’universo sconosciuto.
Oggettivamente e soggettivamente, sono stufo di me. Sono stufo di tutto, e del tutto di tutto.
Nuvole… Sono tutto, contorsioni dall’alto, le uniche cose oggi reali fra la terra nulla e il cielo che non esiste; brandelli indescrivibili del tedio che ad esse impongo; nebbia condensata in minacce di un colore
assente; cotone grezzo sporco di un ospedale senza pareti.
Nuvole… Sono come me, un passaggio cancellato fra il cielo e la terra, che segue un impulso invisibile, tuonando o non tuonando, che si rallegrano bianche o si scuriscono nere, finzioni dell’intervallo e dello sviamento, lontano dal rumore della terra e senza il silenzio del cielo.
Nuvole… Continuano a passare, continuano ancora a passare, passeranno sempre continuamente, in una sfilza discontinua di matasse opache, come il prolungamento diffuso di un falso cielo disfatto. 
 (Fernando Pessoa)

Francesca Michielin - Nessun grado di separazione

Stadio - Un giorno mi dirai

20/02/16

Collegio di vigilanza per le strutture protette!

«Ancora per anni – scrive Salvatore Nocera, riflettendo sulle recenti e ripetute notizie di trattamenti disumani su persone con disabilità, all’interno di “strutture protette” – avremo bisogno, per i casi gravissimi, di centri residenziali, in attesa che si realizzino piccole comunità di tipo familiare e – ove possibile – progetti di vita indipendente diffusi totalmente sul territorio; in tutti questi anni, quindi, sarà necessario “proteggere” i nostri familiari con disabilità proprio da certe “strutture protette”»
In questi giorni siamo rimasti turbati, per non dire sgomenti, da notizie di cronaca nera, succedutesi a breve distanza, relative a trattamenti disumani su persone con disabilità da parte di operatori di “strutture protette”. E le notizie che emergono sulle pagine dei giornali sono solo una piccola parte di tale fenomeno, perché una parte ben maggiore rimane sconosciuta, vuoi perché ignota ai familiari delle vittime, vuoi perché non sono in grado di provare quanto accaduto.
In queste circostanze non basta recriminare o gridare all’inciviltà di certe strutture. Serve correre immediatamente ad alcuni ripari, che tutelino preventivamente – se possibile, e comunque immediatamente – le persone con disabilità ricoverate in questi centri, molti dei quali saranno pure gestiti professionalmente e con rispetto della dignità dei loro ospiti, ma che in troppi casi stanno mostrando di trattare in modo inospitale e razzista le loro vittime.
La cosa più urgente che le Associazioni dovrebbero proporre alle Regioni che si convenzionano con gli enti gestori di tali centri è pretendere che nei regolamenti organizzativi di essi sia introdotta una norma che preveda obbligatoriamente la nomina di un collegio di vigilanza di familiari e rappresentanti degli enti locali territorialmente competenti, i quali possano entrare in ogni ora del giorno e della notte, senza preavviso, per verificare lo stato di vita degli ospiti. Le nomine dei familiari dovrebbero avvenire tramite elezione e tutti i membri del collegio di vigilanza dovrebbero ruotare ogni anno per evitare situazioni di acquiescenza. Credo che già la semplice nomina dovrebbe essere un deterrente contro pratiche criminali.

Occorrerebbe inoltre prevedere obbligatoriamente dei corsi di formazione ricorrente dei dirigenti e degli operatori, non solo sulla normativa, ma anche sui problemi psicologici di chi, impegnato in lavori tanto delicati, potrebbe esserne stressato.
Mentre questa seconda proposta richiederebbe la previsione di finanziamenti, la prima – riguardando dei volontari – non comporterebbe spese e potrebbe essere adottata subito.
Dal dibattito svoltosi recentemente sulla Proposta di Legge riguardante il cosiddetto “Dopo di Noi” [approvata alla Camera e ora al Senato, N.d.R.], è emerso con chiarezza che ancora per anni avremo bisogno, per i casi gravissimi, di centri residenziali, in attesa che si realizzino piccole comunità di tipo familiare e – ove possibile – progetti di vita indipendente diffusi totalmente sul territorio; in tutti questi anni, quindi, sarà necessario “proteggere” i nostri familiari con disabilità proprio da certe “strutture protette”.

fonte: superando.it

08/02/16

Ti auguro Tempo!


Non ti auguro un dono qualsiasi,
ti auguro soltanto quello che i più non hanno.
ti auguro tempo, per divertirti e per ridere ;
se lo impiegherai bene, potrai ricavarne qualcosa.
Ti auguro tempo, per il tuo fare e il tuo pensare, 
non solo per te stesso,
ma anche per donarlo agli altri.
Ti auguro tempo, non per affrettarti a correre,
ma tempo per essere contento.

Ti auguro tempo, non soltanto per trascorrerlo,
ti auguro tempo perché te ne resti:
tempo per stupirti e tempo per fidarti
e non soltanto per guardarlo sull'orologio.
Ti auguro tempo per toccare le stelle
e tempo per crescere, per maturare.
Ti auguro tempo per sperare nuovamente e per amare.
Non ha più senso rimandare.

Ti auguro tempo per trovare te stesso,
per vivere ogni tuo giorno , ogni tua ora come un dono.
Ti auguro tempo anche per perdonare.

Ti auguro  tempo,
tempo per la vita.

Elli Michler

07/02/16

Le scarpe rotte

Io ho le scarpe rotte e l’amica con la quale vivo in questo momento ha le scarpe rotte anche lei. Stando insieme parliamo spesso di scarpe. Se le parlo del tempo in cui sarò una vecchia scrittrice famosa, lei subito mi chiede: «Che scarpe avrai?» Allora le dico che avrò delle scarpe di camoscio verde, con una gran fibbia d’oro da un lato.
Io appartengo a una famiglia dove tutti hanno scarpe solide e sane. Mia madre anzi ha dovuto far fare un armadietto apposta per tenerci le scarpe, tante paia ne aveva. Quando torno fra loro, levano alte grida di sdegno e di dolore alla vista delle mie scarpe. Ma io so che anche con le scarpe rotte si può vivere. Nel periodo tedesco ero sola qui a Roma, e non avevo che un solo paio di scarpe. Se le avessi date al calzolaio avrei dovuto stare due o tre giorni a letto, e questo non mi era possibile. Così continuai a portarle, e per giunta pioveva, le sentivo sfasciarsi lentamente, farsi molli ed informi, e sentivo il freddo del selciato sotto le piante dei piedi. È per questo che anche ora ho sempre le scarpe rotte, perché mi ricordo di quelle e non mi sembrano poi tanto rotte al confronto, e se ho del denaro preferisco spenderlo altrimenti, perché le scarpe non mi appaiono più come qualcosa di molto essenziale. Ero stata viziata dalla vita prima, sempre circondata da un affetto tenero e vigile, ma quell’anno qui a Roma fui sola per la prima volta, e per questo Roma mi è cara, sebbene carica di storia per me, carica di ricordi angosciosi, poche ore dolci. Anche la mia amica ha le scarpe rotte, e per questo stiamo bene insieme.
La mia amica non ha nessuno che la rimproveri per le scarpe che porta, ha soltanto un fratello che vive in campagna e gira con degli stivali da cacciatore. Lei e io sappiamo quello che succede quando piove, e le gambe sono nude e bagnate e nelle scarpe entra l’acqua, e allora c’è quel piccolo rumore a ogni passo, quella specie di sciacquettìo.
La mia amica ha un viso pallido e maschio, e fuma in un bocchino nero. Quando la vidi per la prima volta, seduta a un tavolo, con gli occhiali cerchiati di tartaruga e il suo viso misterioso e sdegnoso, col bocchino nero fra i denti, pensai che pareva un generale cinese. Allora non lo sapevo che aveva le scarpe rotte. Lo seppi più tardi.
Noi ci conosciamo soltanto da pochi mesi, ma è come se fossero tanti anni. La mia amica non ha figli, io invece ho dei figli e per lei questo è strano. Non li ha mai veduti se non in fotografia, perché stanno in provincia con mia madre, e anche questo fra noi è stranissimo, che lei non abbia mai veduto i miei figli. In un certo senso lei non ha problemi, può cedere alla tentazione di buttar la vita ai cani, io invece non posso. I miei figli dunque vivono con mia madre, e non hanno le scarpe rotte finora. Ma come saranno da uomini? Voglio dire: che scarpe avranno da uomini? Quale via sceglieranno per i loro passi? Decideranno di escludere dai loro desideri tutto quel che è piacevole ma non necessario, o affermeranno che ogni cosa è necessaria e che l’uomo ha il diritto di avere ai piedi delle scarpe solide e sane?
Con la mia amica discorriamo a lungo di questo, e di come sarà il mondo allora, quando io sarò una vecchia scrittrice famosa, e lei girerà per il mondo con uno zaino in spalla, come un vecchio generale cinese, e i miei figli andranno per la loro strada, con le scarpe sane e solide ai piedi e il passo fermo di chi non rinunzia, o con le scarpe rotte e il passo largo e indolente di chi sa quello che non è necessario.
Qualche volta noi combiniamo dei matrimoni fra i miei figli e i figli di suo fratello, quello che gira per la campagna con gli stivali da cacciatore. Discorriamo così fino a notte alta, e beviamo del tè nero e amaro. Abbiamo un materasso e un letto, e ogni sera facciamo a pari e dispari chi di noi due deve dormire nel letto. Al mattino quando ci alziamo, le nostre scarpe rotte ci aspettano sul tappeto.
La mia amica qualche volta dice che è stufa di lavorare, e vorrebbe buttar la vita ai cani. Vorrebbe chiudersi in una bettola a bere tutti i suoi risparmi, oppure mettersi a letto e non pensare più a niente, e lasciare che vengano a levarle il gas e la luce, lasciare che tutto vada alla deriva pian piano. Dice che lo farà quando io sarò partita. Perché la nostra vita comune durerà poco, presto io partirò e tornerò da mia madre e dai miei figli, in una casa dove non mi sarà permesso di portare le scarpe rotte. Mia madre si prenderà cura di me, m’impedirà di usare degli spilli invece che dei bottoni, e di scrivere fino a notte alta. E io a mia volta mi prenderò cura dei miei figli, vincendo la tentazione di buttar la vita ai cani. Tornerò ad essere grave e materna, come sempre mi avviene quando sono con loro, una persona diversa da ora, una persona che la mia amica non conosce affatto.
Guarderò l’orologio e terrò conto del tempo, vigile ed attenta ad ogni cosa, e baderò che i miei figli abbiano i piedi sempre asciutti e caldi, perché so che così dev’essere se appena è possibile, almeno nell’infanzia. Forse anzi per imparare poi a camminare con le scarpe rotte, è bene avere i piedi asciutti e caldi quando si è bambini.

Natalia Ginzburg ( 14 luglio 1916, -  7 ottobre 1991 )


04/02/16

Dialogo di giovedì grasso



Marchesa, permette?
Forse è incomoda l'ora...
Ma come? Siete
voi caro abate.
Coraggio: avanti.se mi presento senza

parrucca e senza guanti?
Oh, confidiamo ancora
nella vostra clemenza!
Ma venite in cattivo punto. - In cattivo punto?
Prendetevi una sedia.
Grazie. La cerco...
senza trovarla. Quel maledettissimo
padron di casa è un pezzo che gioca la commedia
di lasciarrni così. - Rimango in piedi,
dal mattino alla sera, dalla sera al mattino,
adorator perpetuo della vostra bellezza!
Voi siete la fenice degli abati galanti
Per carità marchesa:
senza la mia parrucca e senza i guanti...
Oh non è nulla! Io stessa
sono fuori di me,
caro abate, perché...
Ma, prima:
vi ricordate l'abito
pompadour, che di Francia
mi recò mio marito
centotrent'anni fa,
che indossai l'ultima
volta al ballo dogale? - Mi ricordo
che quella sera volli baciarvi sulla guancia
(tanto eravate bella!)
e fui percosso dal ventaglino di madreperla.
Ricordate anche troppo.
Or quella veste e quel ventaglio miniato
quando per economia
venni ad abitar qui, li lasciai nella mia
dimora, alla Ca' d'oro,
chiusi dentro un armadio intarsiato,
accanto a' bei gioielli
lasciatimi in eredità dai Loredano...
Poco fa, prima
che voi foste venuto,
colpita dallo strano
rumore della via,
schiudo la gelosia,
mi affaccio... e vedo
una maschera a braccetto
d'un abatino buffo e svenevole,
vestita con la bella mia veste pompadour!
Marchesa l'avventura
non è molto piacevole;
ma se vi dicessi che quell' abatino
portava la mia bella parrucca incipriata?
Davvero? - Certo. La riconobbi
quando mi urtò, passandomi vicino
con la sua goffa dama imbellettata...
Oggi le maschere
vanno a spasso:
mi dicono che sia giovedì grasso.
I vivi si divertono, e i morti si dan pace.
Abate mio... - Marchesa?
Non m'offrite una presa
del vostro buon tabacco d'un tempo? - Mi dispiace,
ma ho dato via
la tabacchiera. Faccio economia...
(Tito Marrone)

Roma. 1 aprile 1905


Ricordi del gioved' grasso



Vagano nella mente,

non più vissuti,
lontani ricordi,
di un carnevale dei tempi andati.
I contadini in quel periodo facevano festa,
del maiale erano gli ultimi grugniti.
Nella giornata del giovedì grasso
per le campagne mascherati,
giravano giovanottoni,
da pagliacci più o meno vestiti.
Il baldaccio in testa,
così veniva chiamato chi la comitiva primeggiava.
Lo spiedo, di legno, in mano a mo' di lancia,
petto in fuori, passo svelto,
senza un filo di pancia.
Cappello a cono fatto di cartone
simile a quello dell'asino alle elementari.
La maschera, artigianale di circostanza,
bene nascondeva ogni sembianza.
Chi lo seguiva,
il paniere, il sacco o la fisarmonica portava.
D'obbligo era fermarsi ad ogni casolare
tutti insieme,
sempre pronti alla burla ed a ballare.
L'organetto suonava un tango un po' storpiato,
un valzer, dal tempo sorpassato.
Tutti in allegria,
ogni amarezza quel giovedì,
la musica portava via.
Su ogni mensa,
era pronto il vino, il pane ed il salame,
come usanza
e come buona accoglienza.
Lardo, salsicce, uova e grano erano donati,
i danari pochi, 
solo sognati.
Al giungere della sera, la festa finiva,
tutti in un casolare riuniti a gozzovigliare.
Quando il sole spuntava
ognuno con i propri pensieri, barcollando,
la strada per la dimora riprendeva.

(Virginio Giovagnoli)

01/02/16

Centri Diurni per persone con disabilità grave a Bolzano

E' molto che non scrivo post sulla disabilità di mia figlia.....ma sono molto arrabbiata.....

Molto arrabbiata.... come ogni tanto mi succede quando mi rendo conto di essere presa in giro......come noi tutti genitori di ragazzi con una certa disabilità abbastanza grave.....
Mia figlia disabile intellettiva frequenta un centro diurno a Bolzano.....
Ho la netta impressione che sia parcheggiata.......
Sulla carta dei servizi sono descritti dei bei programmi........
La provincia di Bolzano  fa anche  una nuova legge sull'inclusione delle persone con disabilità.......tante belle parole e poi non dà il personale sufficiente per poter svolgere le attività.........è una vergogna!! 

Eppure la legge prevede che l'obiettivo dei Centri Diurni per persone con disabilità deve essere quello di offrire alla persona adulta con disabilità intellettiva grave un ambiente con un clima relazionale positivo e di ascolto che favorisca il mantenimento e lo sviluppo di abilità nell'ambito cognitivo, dell'autonomia personale, sociale, affettiva e occupazionale (dove è possibile) attraverso specifici laboratori ed attività di socializzazione......mi domando: quali?????